I GIARDINI STORICI

La villa suburbana del banchiere senese Agostino Chigi, detto il “Magnifico” (1466-1520), esempio significativo della cultura rinascimentale, corrispose al gusto del proprietario di possedere una dimora lontana dai clamori dell’Urbe, immersa nel verde.

Nel Cinquecento la Villa era circondata da un meraviglioso viridarium la cui composizione si collegava armoniosamente con le stesse forme architettoniche della villa attraverso i due avancorpi laterali della facciata del fabbricato, con le festose decorazioni floreali della Loggia di Amore e Psiche, opera di Giovanni da Udine.

Le straordinarie rappresentazioni di piante del Nuovo Mondo, quali il mais, gli zucchini, la zucca maggiore e quella muschiata, il fagiolo comune, piante officinali, piante da frutto, ma anche specie ornamentali ed esotiche furono realizzate con l’intento di stupire e di suscitare l’ammirazione del visitatore e per mostrare agli ospiti, dignitari della corte pontificia, e allo stesso pontefice, la magnificenza e la raffinatezza del proprietario Chigi.

Oggi rimane solo un piccolo lembo della parte settentrionale del giardino, mentre sul retro della Villa (lato Sud, dove ora è l’ingresso) si accede al “giardino segreto” ispirato all’hortus conclusus di tipo cinquecentesco, separato, per mezzo di un’alta siepe, dal “giardino di rappresentanza”. Quest’ultimo si estende a mezzogiorno fino a un tratto delle Mura Aureliane che costituisce uno dei pochi resti della cinta muraria che sorgeva sulla riva destra del Tevere, il cui lato verso il fiume è andato perduto nei lavori di sistemazione di fine Ottocento.

Dopo un accurato intervento di restauro, esemplari arborei hanno ritrovato dimora secondo la disposizione otto-novecentesca: pini e alcuni cipressi, il boschetto di allori – che costituisce, forse, la preesistenza più antica – specie utili e ornamentali (rose, melocotogni, nespoli, acacia farnesiana, acacia di Costantinopoli, agrumi da collezione, ciliegi, lecci, camelie antiche), alcune specie arbustive citate in documenti d’archivio, come Myrtus communis, Cornus mas, Berberis, nonché erbacee perenni e bulbose come Viola odorata in antiche varietà, Lilium, Hyacinthus e Iris che compongono la variegata e colorata fascia lungo l’antico muro farnesiano.

Un piccolo insieme di reperti archeologici, sarcofagi, capitelli e statue impiegati come elementi decorativi, contribuisce a testimoniare l’antica opulenza di un ambiente ricco di sorprendente piacevolezza, nel cuore di Trastevere.

Un viaggio tra storia, arte e natura nei giardini e negli spazi esterni di Villa Farnesina

Passeggiare tra i viali e gli edifici che circondano Villa Farnesina significa compiere un itinerario tra epoche e suggestioni diverse: dalle antiche mura romane ai giardini segreti del Rinascimento, dalle collezioni botaniche alle opere d’arte contemporanee, dalle architetture storiche ai reperti archeologici.

Ogni tappa custodisce racconti di personaggi illustri, trasformazioni urbanistiche e memorie che intrecciano la vita della Villa con quella di Roma.

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La Palazzina dell’Auditorio, sviluppata su tre livelli, è destinata agli uffici e alle manifestazioni congressuali dell’Accademia Nazionale dei Lincei.

L’edificio, d’impianto ottocentesco, in origine dedicato all’opera pia della Regina Margherita di Savoia, per l’accoglienza di ragazze madri, fu trasformato negli anni Trenta per ospitare la Biblioteca della Reale Accademia d’Italia, che in quel periodo stabilì la sua sede di rappresentanza a Villa Farnesina.

Il progetto di ristrutturazione, elaborato dall’ingegnere Giovanni Massari nel 1933, prevedeva la sostituzione dei solai, la creazione di un magazzino per oltre 50.000 volumi, sale riunioni, uffici e una grande sala conferenze. Su suggerimento degli architetti Cesare Bazzani e Marcello Piacentini, fu aggiunta un’abside al lato nord dell’edificio, trasformando la sala rettangolare in un auditorium con circa 250 posti a sedere. Da qui il nome “Palazzina dell’Auditorio”. Per facilitare l’accesso degli studiosi, venne realizzato anche un collegamento sotterraneo con la Villa.

La Palazzina perpetua le antiche scuderie di Agostino Chigi commissionate a Raffaello architetto, note unicamente attraverso disegni e strutturate in tre navate con una scala retrostante. Di questa costruzione restano lo zoccolo, i piedistalli, le basi delle paraste e parte dei muri, un tempo destinati alle stalle.

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La Villa Farnesina era perfettamente predisposta ad accogliere i giardini – tanto che nel Cinquecento era chiamata “Palazzo del Giardino” – anche dal punto di vista architettonico, con le due ali aggettanti che definiscono la facciata nord e incorniciano la Loggia di Amore e Psiche.

Qui, sulla volta affrescata nel 1518 da Giovanni da Udine, allievo di Raffaello Sanzio, si riconoscono 170 specie di frutti e fiori, simbolo di prosperità e amore, concepite come un continuum con l’esterno, ricco di varietà botaniche che provenivano dal Mediterraneo e da terre allora esotiche, persino dal Nuovo Mondo, a testimonianza delle vaste risorse e relazioni del banchiere Agostino Chigi.

Il piccolo cortile della Loggia, chiuso da mura, aveva le caratteristiche del giardino segreto, come l’altro nella sezione opposta, all’ingresso sud della villa. I due giardini segreti, detti Horti conclusi, ispirati alle antiche vignae romane e ai chiostri dei conventi, rifugi intimi nella natura e nel silenzio secondo l’ideale del locus amoenus, furono realizzati tra il 1506 e il 1511.

Questo cortile, con una fontana centrale (non originale), era nutrito da un ingegnoso sistema idrico che sfruttava l’acqua del Tevere, risultato della maestria degli ingegneri al lavoro insieme all’architetto Baldassarre Peruzzi. Lo spazio era stato concepito come un “teatro di verzure” per l’allestimento di spettacoli teatrali, un “contenitore” in cui posizionare scenografie rivolte verso il palazzo che diventava, dunque, palcoscenico e fondale delle rappresentazioni.

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Gli agrumi hanno da sempre costituito la ricchezza arborea principale del viridario e la loro presenza è rimasta costante nei secoli. Ancora alla fine dell’Ottocento, Pierre Fremont, protagonista del romanzo Rome dello scrittore francese Émile Zola, racconta che nel giardino della Farnesina, anche se “abbandonato […] devastato, piegato, invaso da erbacce […] maturavano sempre i frutti d’oro degli aranci e dei cedri”.

Tra gli agrumi oggi visibili spicca il cedro gigante (Citrus medica maxima), pianta vigorosa dal portamento assurgente e chioma irregolare, spinescente. Ha foglie meno grandi, ellittico-oblunghe, con apice arrotondato. È molto produttiva e rifiorente, con fioriture principali in primavera e autunno. Presenta fiori bianchi, grandi, odorosi, disposti a grappoli. I frutti sono molto grandi, corrugati, di forma oblungo-piriforme. La buccia è molto spessa e di colore giallo.

Una variante ornamentale di cedro che si può ammirare nel giardino della Villa è la cosiddetta “mano di Buddha” (Citrus medica digitata) che produce frutti dotati di “dita”.

Altre tra le specie rare sono l’arancio amaro scannellato, la Lima dolce di Roma, il limone Mellarosa, il Pomo di Adamo e il Cedrato Fiorentino.

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Prima della morte del suo legittimo proprietario, e prima di essere acquistata dal cardinale Alessandro Farnese nel 1579, Villa Farnesina confinava sul suo lato sud-est con una proprietà della famiglia Farnese. Tale proprietà si era costituita negli ultimi anni del Quattrocento, a spese e per volontà dell’allora ancora cardinale Alessandro Farnese senior, nonno dell’Alessandro Farnese che acquisterà la Villa, e futuro papa Paolo III. Egli trovava questo luogo molto piacevole, per via della sua salubrità e del contatto con la natura, ed era solito recarvisi quotidianamente, anche dopo la sua ascesa al soglio pontificio, per distrarsi e rinfrancarsi dagli impegni giornalieri.

Il possedimento comprendeva innanzitutto l’edificio affacciato su via della Lungara, il cosiddetto Casino Farnese, oggi biglietteria e foresteria dell’Accademia dei Lincei, che venne rimaneggiato notevolmente nella seconda metà dell’Ottocento. Si trattava di una residenza spaziosa, priva di loggia o di belvedere, articolata in piattabande e aperture distribuite in modo non del tutto simmetrico.

Nell’area retrostante al Casino si apriva un cortile, detto cortile del cipresso per l’albero piantatovi dal cardinale in occasione della sua laurea. Al centro del cortile campeggiava, ed è ancora oggi visibile, una fontana a parete sormontata dal giglio farnesiano. Vi erano poi anche un giardino murato adiacente al cortile del cipresso, e un giardino grande alle spalle, verso il Tevere, delimitato dalle mura della città.

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Di fronte al primo slargo del vialetto circondato dagli agrumi, è collocata una fontana realizzata in epoca ignota dall’unione di due reperti archeologici differenti.
Come vasca è stato riutilizzato un grande sarcofago, appartenente alla tipologia dei cosiddetti sarcofagi strigilati, termine che deriva dal tipo di decorazione a scanalature disposte specularmente sulla fronte e il cui andamento ondulato ricorda lo “strigile”, lo strumento ricurvo con cui nell’antichità gli atleti erano soliti detergersi. La fronte del sarcofago è racchiusa entro una elegante cornice (kymation) a ovuli e astragali, conclusa superiormente da un motivo a larghe fogliette trilobate e lateralmente e in basso da un motivo a treccia. Tali elementi decorativi suggeriscono una datazione del sarcofago tra la fine del III e gli inizi del IV secolo d.C.

La testa colossale impiegata come bocca d’acqua al di sopra del sarcofago è stata adattata a questa funzione tramite la perdita del naso e di parte delle labbra.

La scultura, testimoniata nel contesto delle proprietà Chigi-Farnese già nel XVII secolo, raffigura un Tritone marino, come rivelano le alghe che attraversano la superficie del volto. La capigliatura ondulata, che scende fino a coprire il collo con brevi riccioli, è lavorata per conferire ai capelli un effetto bagnato.

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Sul lato sud della Villa Farnesina si trovava uno dei due “giardini segreti” che un tempo circondavano l’edificio.

Racchiuso da mura, questo spazio rettangolare si estendeva fino al vicino Casino Farnese, oggi biglietteria della Villa e foresteria dell’Accademia dei Lincei. Il giardino era diviso in aiuole geometriche, ornate da pergole di fiori e frutti, con una fontana centrale, i cui resti sono tuttora visibili.  

L’aspetto attuale di questo spazio si deve ad un intervento di ristrutturazione e conservazione promosso dall’Accademia Nazionale dei Lincei nei primi anni Duemila, volto a ripristinare la spazialità cinquecentesca del giardino segreto, attraverso il posizionamento di siepi di tasso, presenti nel giardino cinquecentesco. Nel giardino segreto di Agostino Chigi erano presenti anche altre specie di alberi e piante, nonché un roseto con molte varietà di rose. 

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L’alloro (Laurus nobilis) è pianta antica e famosa, che nel mondo classico simboleggiava la conoscenza e la gloria. Era sacro ad Apollo, dio solare e protettore delle arti, della musica e della poesia, che indossava sempre una corona di lauro dopo che Dafne si era mutata in questa pianta. Nel tempio di Apollo a Delfi una sacerdotessa, inebriata da pozioni d’alloro, emetteva oracoli che dissipavano – non sempre esplicitamente – dubbi e incertezze.  

Questo albero di alloro fu piantato da Cesare Pascarella, poeta dialettale, letterato e pittore, durante il decennio (1930-1940) in cui fu membro della Reale Accademia d’Italia. 

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Il tratto delle Mura Aureliane presente nel parco della Villa Farnesina è uno dei più antichi rimasti a Roma. Edificate dal 271 d.C. per ordine dell’imperatore Aureliano con l’obiettivo di arrestare l’avanzata delle popolazioni dell’Europa Settentrionale verso l’Impero Romano, le Mura Aureliane si estendevano per 19 km ed erano alte fino a 6,5 metri. 

Questa cinta muraria si collega direttamente con la Porta Settimiana che fin dal periodo medievale apriva alla via sancta, poi ribattezzata da papa Giulio II della Rovere Via Settimiana, che collegava Trastevere con il Vaticano e la Basilica di San Pietro 

Lo stato di conservazione permette di riconoscere le varie fasi di costruzione, testimoniate dalle diverse tecniche edilizie. La base appartiene a un intervento di rinforzo forse settecentesco ed è costituita da una massiccia muratura di blocchi di tufo irregolari alternati a pochi mattoni ed è delimitata da una cornice laterizia. Nella parte superiore si nota la cortina realizzata sotto l’imperatore Onorio (per ordine del quale attorno al 403 d.C. l’altezza delle mura fu quasi raddoppiata), al di sopra della quale si distinguono alcune riprese murarie di età moderna che potrebbero risalire al pontificato di Pio IX. La torre di sinistra, che si conserva in tutta la sua altezza, mostra i resti del protiro che metteva in comunicazione la camera di manovra superiore con il cammino di ronda scoperto. Quella di destra, in peggiore stato di conservazione, nell’Ottocento era abitata da una delle lavandaie pubbliche di Roma, che svolgeva al suo interno la propria attività. 

Ciò che oggi si osserva nei giardini di Villa Farnesina è una sezione superstite delle gloriose mura che a partire dal 1876 furono sezionate ed eliminate per dar spazio alla costruzione del Lungotevere della Farnesina, considerato il primo intervento ingegneristico di portata nazionale del neonato Regno d’Italia.   

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Al termine del sentiero che si diparte alla sinistra del vialetto che costeggia il muro di cinta tra il giardino e l’area dell’attuale John Cabot University, si trova un sarcofago a cassa rettangolare privo del coperchio, sulla cui fronte sono scolpite due Vittorie alate, dal tratto lineare e sintetico. Rivolte specularmente verso l’interno, sorreggono una “tabula ansata”, cioè una targa con manici, databile al II secolo d.C., che reca un’iscrizione greca con il nome del liberto greco Marco Aurelio Giocondo che vi era stato sepolto.  

Le Vittorie sono vestite di una tunica che ricopre il corpo per intero, le cui pieghe seguono il movimento e il flusso dell’aria. Anche il piumaggio delle ali è reso con notevole realismo. I volti, di profilo, mostrano una sommaria acconciatura formata da una “tenia”, una fascia intrecciata che segue la fronte e si raccoglie in uno chignon sulla nuca. Il sarcofago faceva probabilmente parte della collezione di antichità di Agostino Chigi, come riportato da alcune testimonianze contemporanee.   

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Un ceppo di sequoia della California (Sequoia sempervirens) è quello che resta dopo l’abbattimento – negli anni Ottanta, a causa dei marciumi del legno – dell’esemplare fatto piantare da Guglielmo Marconi durante il settennio 1930-1937 (anno della sua scomparsa) in cui egli fu Presidente della Reale Accademia d’Italia, che aveva allora sede nella Villa Farnesina. Marconi ebbe molta cura del giardino della Villa e delle sue piante.  

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Proseguendo sul vialetto che costeggia il muro di cinta tra il giardino e l’area dove ha ora sede la John Cabot University, è posizionata una scultura che rappresenta una figura femminile, coperta da un panneggio che ricade solo nella parte inferiore del corpo, colta nel gesto di sostenere una conchiglia semiaperta. Malgrado i pesanti restauri nella parte superiore, si tratta di un’opera di età romana ispirata a un noto modello scultoreo ellenistico: la cosiddetta Afrodite di Siracusa.

Rispetto al modello originale vi sono state tuttavia introdotte alcune significative varianti, come il movimento del panneggio e la vasca a conchiglia che trasformano la dea dell’amore in una più prosaica ninfa marina. La dea è collocata all’interno di una nicchia che imita una grotta naturale, incorniciata da un mosaico in pietre.

La scultura potrebbe essere ciò che resta di una composizione più complessa, con putti che sorreggevano vasi a mo’ di bocche d’acqua. A metà del Cinquecento questo insieme è descritto come facente parte della decorazione originaria del giardino Farnese, prima dell’acquisizione della proprietà Chigi, nella celebre descrizione delle statue di Roma redatta nel 1556 dal naturalista bolognese Ulisse Aldrovandi.