Villa Farnesina
La Loggia di Amore e Psiche
La Loggia, situata nel piano terreno e composta da cinque archi che sono attualmente chiusi da vetrate protettive, prende il nome dalla decorazione ad affresco dipinta nel 1518 sulla volta dalla scuola di Raffaello su disegni del maestro, dove si raffigurarono episodi ispirati all’Asino d’oro di Apuleio, della favola di Amore e Psiche, già impiegata nel Quattrocento per immagini di argomento nuziale.
La loggia serviva da palcoscenico per le feste e le rappresentazioni teatrali organizzate dal proprietario.
Per dare un carattere festoso e spettacolare all’ambiente, Raffaello trasformò la volta della Loggia d’ingresso in una pergola, come se i pergolati e i padiglioni del giardino si fossero prolungati all’interno della Villa in ricchi festoni. Al centro due finti arazzi : il sontuoso Convito degli Dei, in cui la fanciulla ingiustamente perseguitata viene infine accolta nel consesso divino, e Le nozze di Amore e Psiche, culmine simbolico dell’intero ciclo.
Tuttavia, è da ricordare che l’impianto generale dell’affresco e l’ideazione delle singole scene e figure si devono alla geniale intuizione di Raffaello, ma agli affreschi lavorarono spesso numerosi artefici della sua bottega, tra cui Giovan Francesco Penni, Giulio Romano e Giovanni da Udine, autore, in particolare, dell’esuberante trionfo dei festoni di fiori e frutta.
Gli affreschi dialogavano in antico con la statuaria classica facente parte della collezione antiquaria del banchiere.
La facciata ornata da lesene di ordine tuscanico è chiusa in alto da un cornicione con un festone di Putti. Si affacciava in origine sul giardino all’italiana prospiciente la facciata.
Il primo significativo restauro della Loggia si data agli anni Novanta del Seicento, quando, in forza del grave stato di abbandono in cui versava la Villa, Ranuccio IIFarnese ne dispose la rimessa a nuovo. Nel 1693 l’agente ducale, abate Felini,incaricò dunque Carlo Maratti (1625-1713), uno dei più rinomati pittori di allora, e la sua équipe, di avviare i lavori.
Le pitture raffaellesche sulla volta della Loggia erano state pesantemente compromesse dalla prolungata esposizione alle intemperie e si trovavano per questo motivo in cattivo stato di conservazione. L’intervento di restauro fu quindi piuttosto ingente: Maratti e i suoi intervennero infatti sugli affreschi, consolidandoli e fissando gli intonaci con una moltitudine di grappe, risarcendone le lacune e prolungando i festoni di frutta, opera di Giovanni da Udine (1487-1564), fino alle imposte delle arcate.
Come non mancò di sottolineare lo storico e teorico dell’arte Giovan Pietro Bellori, nel suo celebre encomio descrittivo dedicato ai restauri maratteschi (1695), tali interventi furono condotti con grande sensibilità e rispetto, facendo attenzione ad intaccare il meno possibile (almeno nell’ottica di allora) l’aspetto originale della Loggia.
Tutte le integrazioni furono quindi pensate ed eseguite in continuità con l’opera di Raffaello e al fine di rendere “omogenea” la visione d’insieme. Sui due lati corti vennero così aggiunte le due porte cieche che si vedono ancora oggi accanto a quelle reali, mentre le pareti, rimaste fino a quel momento prive di decorazione, furono riempite con nicchie dipinte in trompe l’œil, «contentandosi in semplici mostre d’architetture senza figure per il rispetto dovuto a quella volta» (Bellori). Le lunette in alto, anch’esse lasciate in bianco, vennero invece completate con finte finestre vetrate dipinte in scorcio prospettico, che facevano eco ai sottarchi veri del loggiato.
















